Matteotti's assassination. False London trail to distract the attention

di Alfio Bernabei, Londra

L’omicidio del deputato italiano e leader dell’opposizione Giacomo Matteotti, il 10 giugno 1924, fu perpetrato da sicari fascisti la cui spavalderia li portò a commettere errori che ne causarono l’arresto poco dopo. Ma Mussolini, in qualità di Presidente del Consiglio, gestì la situazione a proprio vantaggio. Era stato un direttore di giornale di successo e il suo ufficio stampa era in contatto con almeno quarantacinque testate aperte a ricevere istruzioni.

L’assassinio era stato ordinato per ragioni politiche. Matteotti era diventato un avversario molto efficace del fascismo su diversi fronti. Possedeva una competenza ineguagliabile nell’indagare su questioni finanziarie, dai bilanci alla cattiva amministrazione. Era un fervente sostenitore della democrazia parlamentare e della libertà di parola. Si trovava in una posizione privilegiata per esercitare influenza all’estero sui partiti socialisti e sui sindacati, che sperava di arruolare per creare un fronte antifascista transfrontaliero.

Tre giorni dopo il suo assassinio, un quotidiano fascista, Il Nuovo Paese, distolse l’attenzione dalle motivazioni politiche del crimine. Un articolo di prima pagina insinuò una ventata di allusioni altamente suggestive, seppur infondate, su scandali finanziari in agguato.

Voci di irregolarità legate ai diritti di esplorazione petrolifera in Italia circolavano da mesi senza grande esito. Ora, la storia secondo cui Matteotti, durante la sua visita clandestina a Londra in aprile, avesse ottenuto prove concrete di tangenti versate da una compagnia petrolifera americana, la Sinclair, a personaggi di alto rango negli ambienti fascisti e fosse pronto a rivelare i dettagli in Parlamento, venne accreditata da diversi giornali.

La moglie di Matteotti, Velia, reagì con sgomento. Avvertì che si stava costruendo una “leggenda” per distogliere l’attenzione dalle motivazioni politiche dell’omicidio. Ma nessuno era disposto ad ascoltare le lamentele della vedova.

Mussolini era contento che la distrazione stesse giocando a suo favore. E comunque, se si fosse concretizzata qualche prova di complici coinvolti nell’accettazione di tangenti, non gli sarebbe rimasto altro da fare che sbarazzarsi dei colpevoli. Benzina e tangenti? Non c’è da stupirsi.

La falsa pista fu messa a tacere poco dopo che il processo del 1926 agli arrestati si rivelò una farsa. Fu ripresa soprattutto negli anni ’90, quando i fascisti tornarono al governo, guidati da Berlusconi – l’inizio di un revisionismo storico su larga scala per ripulire il fascismo dai suoi crimini e spianare la strada al ritorno al governo degli eredi di Mussolini. I 3200 riferimenti toponomastici di Matteotti – strade e piazze intitolate a lui in tutta Italia – non potevano essere cancellati. Ma storie che riecheggiavano lo scandalo Lockheed, le perfide Sette Sorelle e la misteriosa morte del funzionario pubblico dell’industria petrolifera Enrico Mattei potrebbero contribuire a seppellire Matteotti nella nebbia della finzione.

Ci è voluto il centenario dell’omicidio di Matteotti, un anno fa, perché diversi storici esaminassero attentamente la documentazione disponibile e accertassero le prove, se ce ne fossero state, del fatto che Matteotti fosse in possesso di documenti sensibili ottenuti a Londra dal Partito Laburista, come suggerito, tra gli altri, da Il Popolo d’Italia, un giornale diretto dal fratello di Mussolini, Arnaldo.

C’erano prove che Matteotti avesse con sé documenti relativi a tangenti al momento del rapimento? Nessuna. Prove che tali documenti siano mai esistiti? Nessuna.

Dopo decine di libri basati su speculazioni che equivalgono a un’industria di scandali come quella di Sinclair, è finalmente uscito un brillante saggio intitolato “Sul Delitto Matteotti”, scritto dallo storico Giampiero Buonomo. “La leggenda (che Matteotti stesse per fare terribili rivelazioni su loschi affari che coinvolgevano la compagnia petrolifera e il fascismo) ha la stessa consistenza dei sogni”, scrive, sfatando le false piste e restituendo alla storia la figura di Matteotti come dovrebbe essere. Un nemico strenuo del fascismo. Un assassinio politico.

In questo centenario del cosiddetto “Manifesto degli intellettuali antifascisti”, diffuso nel 1925 sotto la guida principalmente del filosofo Benedetto Croce, si può aggiungere un ulteriore episodio che contribuì a far sì che Mussolini cavalcasse l’onda delle proteste scatenate dal delitto e sopravvivesse per instaurare una dittatura a tutti gli effetti.

Il 24 giugno 1924, appena due settimane dopo l’assassinio di Matteotti, il cui corpo non era ancora stato ritrovato, Croce, all’epoca molto influente, fu tra coloro che offrirono il loro sostegno al governo fascista di Mussolini durante un voto di fiducia al Senato. Era stato un simpatizzante fascista fin dall’inizio ed era ancora propenso a dargli una possibilità, nonostante l’urgente appello di Matteotti, lanciato il 30 maggio, per salvare il Paese dal disastro.

Quando nel 1925 Croce comprese finalmente la portata della minaccia che il Paese stava affrontando e fece marcia indietro, mise nero su bianco il suo manifesto contro il fascismo. A quel punto, tuttavia, era troppo tardi per arrecare gravi danni alla rinnovata presa di potere di Mussolini.

Un triste riflesso dell’avvertimento lanciato dallo scrittore austriaco Stefan Zweig verso la fine della sua vita, nel 1942, nel suo ultimo libro “Il mondo di ieri”: gli intellettuali che aspettano troppo a lungo per organizzarsi contro il fascismo rischiano di finire inascoltati, qualunque cosa dicano o scrivano.